NBA TRENDS #1

Prima puntata della rubrica che seguirà l'avvicinarsi della ripresa della NBA.  Piccoli spunti, dalla pallacanestro a stelle e strisce

1.       La Fame di LeBron James

 

Per alcuni è una pura e semplice dimostrazione di normale amministrazione, per altri è il canto del cigno, altri ancora sostengono che non sia questo granché, ma la verità è solo una: il Re ha ancora fame.

Dopo un inizio quasi in sordine, complici anche i nuovi meccanismi dei Los Angeles Lakers, nel mese di novembre abbiamo il cambio di marcia: 15 partite, 26.3 punti, 7.3 rimbalzi, 11.4 assist, il tutto con il 50.2% dal campo, guidando i gialloviola ad un record di 14 vinte con una sola sconfitta nell'arco dei 30 giorni. Complessivamente per il re si è trattata di una delle migliori stagioni in carriera, visto soprattutto la possibilità di un riposo maggiore durante la partita (34.9 minuti, dato più basso in carriera). LeBron ha dato il segnale, il leone è ancora sull'albero e la fame sembra essere tanta.

 

2.       La Golden State che verrà

 

Stagione di passaggio, ma con coscienza. Gli Warriors sono già pronti a ripartire per la stagione 2020/21 con una team da contender: Curry, il rientrante Thompson, Wiggins, Green e una possibile, quanto probabile, prima scelta al draft di questa estate. In un anno che ha visto la crescita di giocatori emergenti come Paschall, non può che essere di buon auspicio per la stagione prossima. Chiusa una dinastia, se ne potrebbe presto riaprire un’altra, sempre sulla baia, questa volta però non più Oakland, ma San Francisco.

 

3.       Saranno MVP 

 

Scelti nello stesso draft, l’uno per la squadra in cui gioca l’altro. Tanto si è parlato di questi due talenti, spesso accostandoli e confrontandoli cercando di decretarne il migliore. La soluzione invece è goderseli, entrambi. Tutti e due nei contesti più favorevoli per le proprie caratteristiche, crescendo di partita in partita per arrivare entrambi a disputare il loro primo All Star Game, da titolari, a soli vent'anni. Il futuro è roseo, ma si leggono in maniera molto limpida questi de nomi: attenzione.

 

4.       OKC

 

Passare da due trade così importanti e cadere in piedi non è da tutti, a maggior ragione se chi scambi si chiama uno Westbrook e l’altro George. Ma eccoli lì, i Thunder di CP3 e del Gallo, non solo in attesa della matematica qualificazione per la post season, ma in bagarre per un terzo posto impensabile per molti addetti ai lavori soltanto 9 mesi fa.  La crescita di Gilgeous-Alexander, grazie anche alla point god Paul, ha permesso alla squadra di Donovan una vera e propria spina nel fianco per molte squadre, concedendosi il lusso di Shroder dalla panchina. Fermati proprio sul più bello.

 

5.       Tutta la differenza del mondo 

 

Dopo la trade con i Lakers per Davis, tanti erano i dubbi sul futuro dei Pelicans: riuscirà Ingram a sbocciare definitivamente? Ball riuscirà ad essere costante? Possono senza una vera star ambire a qualcosa? Tutti dubbi dimenticati con l’arrivo in Louisiana di Zion Williamson. Se dopo una prima parte di stagione, senza l’ex Duke, NOLA aveva fatto si vedere qualcosa, ma ancora troppo poco per i playoff, con l’avvento di Zion la squadra ha trovato tutta un’altra consapevolezza. Con un Ingram all star, Ball e Holiday a comporre forse il miglior backcourt difensivo della lega, e il pericolo in zone aeree di Williamson, il sogno di una post season si stava facendo sempre più vivo. Perché alla fine un giocatore, può fare tutta la differenza del mondo.

 

6.       BaMiami 

 

Protagonisti del mercato estivo con l’arrivo di Butler nella splendente Florida, si è rivelata una delle sorprese della stagione. Ma più che fare il boom, Miami si tiene stretta il proprio Bam. Il 13 degli Heat si è dimostrato un giocatore paragonabile ad alcune star, aiutando il team di Spoelstra a raggiungere per il momento un ottimo quarto posto. Nella propria faretra Adebayo sta cercando di aggiungere sempre di più il tiro dalla lunga distanza, in modo da impensierire ancor di più le difese avversarie. La benedizione è arrivata anche da Butler, Bam sarà una star, o forse lo è già.

 

7.       Dal vecchio continente con furore

 

Se c’è stata un’epoca durante la quale ogni europo che varcasse il confine americano venisse visto con il sospetto del bust, nell’ultimo decennio grazie anche a grandissimi giocatori, questa mentalità è cambiata. Non sono i giornalisti, i media, o gli allenatori europei a dire che i giocatori del vecchio continenti possono avere un ruolo da protagonista nella NBA, ma sono i numeri: 10 giocatori nella top 50 per punti segnati, 10 nella top 25 per rimbalzi di cui 5 dalla terza alla settima posizione, 4 nella top 25 per assist, 6 nella top 25 per stoppate e 7 nella top 25 per efficienza. Giannis, Luka, Nikola, Bogdan, Kristaps, Danilo, Sabonis, e tanti altri… Che sia l’inizio di una nuova era?

 

8.       Ricchi e poveri 

 

A volte non tutto va come si spera, anche nella ricca New York, con i tifosi dei Knicks ritrovatisi nella sceneggiatura di “Quel pazzo venerdì” nello scambio con i cugini Nets. Ma la triste realtà, per i tifosi di New York, è che non c’è nessun arcano mistero o magio dietro: la dirigenza di Brooklyn negli ultimi anni ha svolto un lavoro eccezionale (tranne licenziare Atkinson ndr). A New York, sponda Knicks, si è passati dal sognare il trio delle meraviglie Irving, Durant, Williamson a ritrovarsi Taj Gibson, Elfrid Payton e Bobby Portis, con KD e Irving accasatisi nella vicina Brooklyn. A volte i soldi fanno la felicità, ma non ditelo ai tifosi dei Knicks.

 

9.       Fine di un’era 

 

Ebbene si, comunque vada a finire la stagione, in casa Spurs è tempo di rifondare. Molto probabilmente arriverà la prima stagione senza che San Antonio disputi i playoff dal 1996/97, anno che porterà la prima scelta al draft Tim Duncan. Con Aldridge e DeRozan con un piede sul primo aereo diretto verso chi vorrà prendersi i contratti, Popovich dovrebbe iniziare a cullare l’idea di rifondare, che non significa necessariamente fare re-building per 10 anni, ma porre delle fondamenta per magari una nuova dinasty. Riusciranno gli Spurs come una fenice a rinascere dalle proprie ceneri?

 

10.   Dopo Jordan chissà 

 

In tema “The Last Dance”, che presenta l’ultima annata Bulls ad essere arrivata alle Finals, l’era post Jordan (ma anche Pippen, Rodman, Kerr, Jackson) a Chicago è stata disastrosa. Una sola finale di conference disputata e persa, l’infortunio di Rose, una dirigenza con idee poco chiare e allenatori presi di mira dai giocatori. Eppure sembrava si potesse vedere la luce in fondo al tunnel all'inizio di questa stagione con un LaVine sempre più protagonista e un Satoranski in versione mondiale. Chi nel frattempo ha continuato a deludere le aspettative è il finnico Markkanen, che poco ha fatto vedere in queste tre stagioni, oltre a Otto Porter Jr che tanto aveva fatto bene a Washington.

La nuova dirigenza saprà riportare la squadra di nuovo nell'Olimpo, o anche solo ai playoff?